Donald Winnicott e la madre sufficientemente buona

La rapida trasformazione del contesto familiare e sociale degli ultimi 50 anni ha aperto sempre più riflessioni circa i nuovi bisogni delle persone adulte che si prendono cura di quelle piccole. 

Va da sé che anche la cultura dell’educazione ha subìto un enorme cambiamento, sia in termini qualitativi, che organizzativi, che divulgativi. 

Se prima la crescita delle persone piccole veniva condivisa e sostenuta dal contesto familiare e sociale più intimo, adesso lo si fa a distanza, ed il passaggio di valori e sostegno lo si cerca fuori e in figure anche totalmente sconosciute. 

Per questo riteniamo necessario portare alla luce alcune delle domande che ci facciamo quotidianamente, occupandoci di educazione e di accompagnamento alla genitorialità. Nell’epoca in cui le figure adulte di riferimento sono sempre più lontane e in cui l’etere rende tutto accessibile in tempi record, quale idea di educazione si sta divulgando? 

Quali sono i nuovi bisogni?

Quali sono gli strumenti o le professionalità a cui le famiglie si affidano quando si trovano in difficoltà? 

Quali sono i valori che passano? Quale tipo di aiuto si trova nel web? 

Qual è la teoria di Winnicott?

Donald Winnicott, pediatra e psicanalista che, grazie ai risultati di una ricerca sulle cure materne, ha segnato la storia della pedagogia del ‘900, ha annullato il senso di inadeguatezza genitoriale, dichiarando che:

Solo una madre sufficientemente buona è in grado di garantire uno sviluppo ottimale delle persone piccole di cui si prende cura. 

I risultati di questa ricerca hanno rivoluzionato l’immagine di una categoria che da secoli sente il peso di un ruolo di grande responsabilità e ancora oggi, troppo spesso, si ossessiona per cercare di conquistare il titolo di “madre perfetta” o “infallibile” agli occhi della società.

Secondo la teoria di Winnicott infatti, lo scopo della vita non consiste nel compiere grandi imprese, bensì nel riuscire a dare un significato positivo alla propria esistenza contemplando prove ed errori. 

Le cure materne e paterne sono in grado di creare un ambiente che contiene, che dona fiducia e sicurezza, che nutre, che soddisfa i bisogni primari delle persone piccole. 

È in questo modo che la persona piccola matura la consapevolezza di essere meritevole di soddisfazioni, alimenta la sua autostima e sviluppa l’interdipendenza

Nel primo anno di vita delle bambine, la madre si annulla, per poi riconquistare la sua indipendenza e diventare più “pigra” dinanzi al suo compito, perché avrà già trasmesso i principi di amore, sicurezza, contenimento e cura alla piccola persona di cui si prende cura, affinché possa utilizzarle come modello. 

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Non esiste una genitorialità perfetta quindi e non è quello il modello da perseguire. 

La grande competizione, che mette in crisi le figure adulte di riferimento, trova spazio sia tra le persone reali che tra quelle virtuali proponendo etichette, premi, riconoscimenti, giudizi settoriali, che si dividono tra giusto e sbagliato. 

Vengono troppo spesso fornite “ricette” che non fanno che alimentare il senso di inadeguatezza e disorientamento verso il proprio ruolo e divulgare una cultura dell’infanzia a “senso unico”, in cui le informazioni vengono propagate su tutti i tipi di canali, senza prendere in carico la sensibilità e la storia personale di chi le riceve, e senza nemmeno assicurarsi il peso delle conseguenze.

Cosa si intende per madre sufficientemente buona?

Cosa si intende per madre sufficientemente buona?

L’aggettivo “sufficiente” contempla l’errore, non mira alla perfezione, accoglie una figura adulta con le sue fragilità e mostra un grande rispetto verso questa fase della vita in cui è tutto ancora da imparare, i messaggi sono difficili da codificare e la fatica mentale incontra quella fisica, rendendo complessa la gestione dell’emotività.

La madre “sufficientemente buona” è per Winnicott una donna spontanea e autentica che, con ansie e preoccupazioni, stanchezza, fragilità e sensi di colpa, è comunque in grado di essere una figura positiva che trasmette amore, sicurezza e sostegno.

Crediamo sia molto rischioso parlare di “istinto genitoriale”, soprattutto a chi, passo dopo passo, deve imparare ad amare e conoscere la persona a cui ha dato la vita o di cui si prende cura, e che si chiede anche troppo spesso “avrò fatto bene?”.

Sarebbe più utile accompagnare la persona adulta di riferimento e accogliere i suoi gesti, che si disegnano in maniera personalizzata sulle proprie storie, bisogni e preoccupazioni, in continua evoluzione.

Allora perché non pensare di cambiare la parola “istinto” con “consapevolezza del proprio agito”, così da stravolgere le aspettative e far sì che l’obiettivo non sia più la dimostrazione di essere all’altezza?

Perché non accompagnare, rassicurare e formulare pensieri positivi sulle possibilità di miglioramento e di costruzione del proprio ruolo di riferimento? 

Essere persone adulte di riferimento è sempre stata una questione complessa: se si fosse trattato di mero istinto, sarebbe stato tutto più semplice. 

É necessario sfatare questo mito e rassicurare chi si dirige verso questo ruolo, spiegando che può capitare di non sentirsi all’altezza, di non avere tutte le risposte, di non capire la piccola persona che abbiamo davanti, di non provare subito un legame forte d’amore, di perdere la pazienza, di non dire e pensare sempre la cosa “accettabile”.

Le persone adulte “sufficientemente buone” sono coloro che con amore si mettono in discussione, e che quando pensano di non farcela chiedono aiuto, non per sminuire o defilarsi dal loro ruolo, ma per migliorarsi sempre e avere nuove risorse per sé e per chi sta loro vicino.

Teoria di Winnicot

Sentirsi persona adulta di riferimento oggi

Il sistema emergente attorno alla coppia persona adulta-persona piccola è basato spesso sulla “solitudine”. La cultura dell’educazione e della cura non si esprimono solamente attraverso la pratica quotidiana ma passano anche attraverso internet, confondendosi tra ideologie e interessi commerciali. 

Gli incontri con le persone reali sono sempre più sporadici, le amicizie virtuali diventano veri e propri punti di riferimento, come se il numero di followers annullasse il profilo professionale. 

Questa dimensione incontra la difficoltà ad ammettere una difficoltà e ad esporsi, perché il giudizio è talmente pressante che chiedere aiuto equivale a dichiarare di non essere stata all’altezza delle aspettative di una società controllante, che richiede di non avere sviste. 

Basta un “clic” quindi per avere tutti i pareri e le “ricette” di persone che a vario titolo occupano i social e internet in generale.

Nella società di oggi, chiunque si sente in grado di poter dare nozioni pedagogiche ed educative alle persone che seguono le pagine social, blog, siti.

Troppo spesso le persone piccole vengono esposte alla ragnatela mediatica, ribaltando considerevolmente il punto di vista educativo e facendolo diventare prettamente commerciale e giudicante. 

A fronte di queste grandi problematicità, si sta però diffondendo una sempre più attenta modalità di entrare in contatto con l’infanzia (molto discutibile la tempistica poiché la Carta dei Diritti dei Bambini é stata stipulata nel 1989) che promuove un’educazione gentile, attenta alle emozioni, rispettosa dei tempi e che sospende il giudizio.

Questo però può creare ulteriore disorientamento da parte delle figure adulte di riferimento che, volendosi spesso allontanare dai modelli che avevano nella loro infanzia, si chiedono quale sia il giusto tempo-spazio-modo. 

Donald Winnicot

Quali limiti dare all’infanzia? In che modo? Quali sono i rischi?

È sempre più frequente imbattersi in persone che hanno scelto di fare del mondo educativo (infanzia e genitorialità) il proprio ambito lavorativo, facendo quindi diventare facile l’accesso ad un “libretto di istruzioni”, con tanto di liste di “giusto/sbagliato”, che altro non fa se non accrescere il senso di inadeguatezza di chi sta imparando a crescere un essere umano. 

Tornando alle riflessioni iniziali, possiamo dire che è stata sostituita la vita di comunità reale con la vita di comunità virtuale. È nato il bisogno di trovare un aiuto tascabile, comodo, sempre accessibile, che non ci espone ma che ci dà la risposta alle cose che vogliamo sentirci dire in quel momento, e solo quando riusciamo a trovare un tempo per noi. 

Dal momento che questo è un processo evolutivo inevitabile, è utile riflettere se da una parte si sia risposto effettivamente a un bisogno e dall’altra invece se non si stia creando una sempre maggiore confusione tra piani, professionalità, aiuto e codifica del messaggio.

Chi ha tra le mani il potere di strumenti divulgativi dovrebbe pesare un’infinità di volte le proprie parole e i propri concetti. Non dovrebbero passare mai i messaggi:

“Fai così perché funziona” o “Se non riesci ad essere una persona adulta gentile non farai bene il tuo lavoro” o peggio “Le cose che vi dico le trovo sul web, io studio!”. 

É difficile capire quale sia la modalità meno invasiva che queste persone dovrebbero adottare. Aiuterebbe se restassero storie neutre, senza giudizio né guide pratiche, né tantomeno dimostrazioni. 

Winnicot

Prima di parlare bisognerebbe pensare che ogni persona che ascolta, e con cui non si può avere un dialogo, ha la sua storia, le sue fragilità e le sue difficoltà e che va bene se non riuscirà a rispondere al modello proposto, perché l’importante è fare di tutto per sentirsi sufficientemente all’altezza. 

Potrebbe aiutare un ribaltamento di visione, che non metta al primo posto il tipo di genitorialità da perseguire, ma l’idea di infanzia di cui prendersi cura per cercare le risposte alle domande:

chi è la bambina che ho davanti? A quale bambina sto pensando? Quali possono essere le cose di cui ha bisogno? Come posso andarle incontro?  

Per tutto il resto, è necessario rinviare a chi ha una professione per prendersi carico delle sfide del lavoro educativo.